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Situazione attuale in Sicilia: Intervista a Simona Cascio, presidente di ARCI Siracusa

Agata Aurora (Gruppo Projekt Seehilfe e.V.): Simona, di cosa si occupa ARCI Siracusa?

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Simona Cascio: ARCI Siracusa da diversi anni ormai, dal 2008, gestisce uno sportello per i richiedenti asilo e i rifugiati. Questo sportello è aperto due volte a settimana, lunedì e mercoledì. Da tempo monitoriamo anche la situazione degli sbarchi e la situazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati con particolare attenzione ai casi vulnerabili ovvero ai minori e alle vittime di tratta.

AA: Simona, tu sei attiva su molti fronti: dai centri d’accoglienza al tutoraggio di minori e conosci bene la situazione negli hotspot e nei vari centri d’accoglienza per rifugiati. Com’è la situazione attuale e cosa è cambiato nell’ultimo periodo?

SC: In Sicilia gli unici hotspot dichiarati dal Ministero sono a Pozzallo e a Lampedusa. A Siracusa invece ci sono i CPSA, cioè o Centri di Primo Soccorso e di Accoglienza, ovvero dei luoghi formalizzati dalla Prefettura dove i migranti vengono collocati nel momento in cui sbarcano, ma non hanno la stessa natura degli hotspot. Qual è la differenza tra questi due posti? Negli hotspot le persone non possono uscire fino a quando non vengono identificate e a volte capita che questa identificazione possa avvenire con la forza nel senso che, per esempio a Pozzallo alle persone che entrano vengono prese le impronte e se c’è qualcuno che si rifiuta di dare le impronte non può uscire da questo spazio. Per fortuna, diciamo, perché sono molto critica nei confronti di questi luoghi, a Siracusa non ci sono gli hotspot, ma ci sono dei centri di prima accoglienza. Fino a prima dell’estate c’erano degli CPSA per adulti, per uomini, donne e famiglie. La situazione è completamente rivoluzionata dall’agosto del 2016 perché arrivando un numero elevatissimo di minori stranieri non accompagnati i centri di prima accoglienza per adulti sono stati convertiti in centri d’accoglienza per minori. Ti faccio un po’ una scaletta di quella che è la situazione: c’è il Don Bosco che si trova nella strada fra Canicattini a Palazzolo che accoglie ad oggi quasi 200 minori stranieri non accompagnati di sesso maschile, cioè tantissimi. Poi La zagara che accoglie 180 minori stranieri non accompagnati in promiscuità con famiglie e con donne in stato di gravidanza. La Zagara si trova a Città Giardino. Ci sono poi anche due centri per minori riconosciuti legalizzati che si chiamano Casa Freedom a Priolo dove ci sono 80 posti e un altro che si trova ai Pantanello dove ci sono 50 posti.

La criticità ovviamente sta nel fatto che per legge i minori non accompagnati, quando sbarcano, dovrebbero essere collocati in comunità alloggio, in famiglia, in centri comunque con piccoli numeri dove possono avviare il loro percorso di integrazione. In realtà rimangono in questi luoghi che sono non adeguati per tre motivi: uno perché sono strutture molte grandi, ospitano 200 persone e 200 ragazzi chiusi insieme diventano gabbie per polli, come dico io, parcheggi umani. Un secondo aspetto negativo è che non possono iniziare il loro percorso integrativo perché non possono uscire e non possono andare a scuola. Il terzo aspetto negativo è che, da questi posto i minori spesso e facilmente si allontano perché non si sentono tutelati e protetti. L’allontanamento di un minore non accompagnato richiama, rispetto ad un adulto, a grandi percoli: si espongono alla tratta, possono essere vittime di sfruttamento lavorativo oppure vittime di traffico di organi. Questa è una delle cose che ci preoccupa tantissimo. Al tempo stesso il ministero, cioè il governo italiano, si sta sforzando per risolvere questo problema. Per esempio, ha allargato i posti SPRAR, cioè i posti nei centri di seconda accoglienza, per minori stranieri non accompagnati da 1000 posti a 2000 posti facendo un bando l’anno scorso, ma sono sempre insufficienti perché il numero dei minori stranieri non accompagnati è elevatissimo: ne sono arrivati 12 400 fino a settembre del 2016. E Augusta è il centro dove arrivano la maggior parte dei minori non accompagnati, ca. il 70 %. Quindi sul nostro territorio abbiamo e affrontiamo questa situazione.

Centri per adulti uomini ad oggi ce n’è uno, si chiama Frasca e si trova a Rosolini. Non so quanta gente ospita realmente perché noi non entriamo. La nostra associazione entra in contatto con tutti i rifugiati attraverso lo sportello e attraverso attività organizzate da noi. Non entriamo nei centri nel senso che non siamo autorizzati ad entrare e quindi non abbiamo le informazioni esatte, ma le conosciamo. Poi c’è Il Carrubo che si trova a Testa dell’Acqua e poi ce n’è un altro di cui non ricordo il nome. Sono centri dove sono collocati gli adulti per un breve periodo di tempo e poi vengono spostati, cioè nel momento in cui loro manifestano la volontà di chiedere protezione internazionale vengono portati in altri, nei centri per richiedenti asilo. La situazione non è affatto buona. La legge prevede, in teoria, che i ragazzi una volta sbarcati devono stare in centri di prima accoglienza e poi continuare in base ai loro documenti, quindi se sono richiedenti asilo, nei centri per richiedenti asilo, se vengono riconosciuti, nei centri SPRAR e dopo, nel momento in cui hanno ottenuto il documenti stanno in nei SPRAR e vengono accompagnati durante il loro percorso di integrazione. Questa, io la chiamo, gestione alternativa, crea delle difficoltà enormi sia per i richiedenti asilo e ei rifugiati, sia per chi li accoglie e deve gestire e occuparsi della loro accoglienza. Noi, io faccio il tutore legale, facciamo molta fatica perché nel momento in cui i miei minori che sono in un centro d’accoglienza compiono 18 anni, convertire il loro permesso di soggiorno è molto difficile.

AA: Abbiamo parlato di minori, neo-adulti e adulti. Cosa succede a loro nel momento in cui escono fuori dai centri di prima e di seconda accoglienza? Quali sono le problematiche che affrontano?

SC: Dipende dal caso e dalle persone. Se escono dal centro di seconda accoglienza e se hanno fatto un percorso di integrazione in qualche centro SPRAR dove in teoria accompagnano le persone nel percorso di integrazione e quindi queste persone hanno conseguito la licenza media, hanno fatto il tirocinio formativo e, se sono in grado, spesso ci sono delle esperienze bellissime. Storie di persone che hanno affittato una casa, che trovano lavoro, che insomma si integrano, salvo nei casi in cui il loro progetto migratoria sia lasciare l’Italia e raggiungere familiari in Nord Europa o in Nord Italia. Per chi invece esce dai centri di prima accoglienza la situazione è molto più grave. Faccio l’esempio dei minori non accompagnati: nel momento in cui compiono 18 anni, se non vengono collocati in una comunità per adulti tipo un centro SPRAR oppure faccio l’esempio di tutti i migranti economici ovvero tutti i minori stranieri non accompagnati che sono in possesso di un permesso di soggiorno per minor età e che non hanno fatto la richiesta d’asilo. Al compimento della maggiore età hanno due strade: una è quella di convertire il permesso di soggiorno in permesso di soggiorno per lavoro o per studio.

In realtà, se sono stati in un centro di prima accoglienza non possono convertire il permesso di soggiorno perché loro non hanno fatto il percorso di integrazione. Questo vuol dire che la direzione generale, che è al capo del Ministero e che ha il potere di riconvertire questo permesso di soggiorno, gli negherà questa possibilità. Quindi lì l’efficienza del sistema di accoglienza si ripercuote sulla vita di queste persone perché nonostante siano stati 6, 7, 8 mesi, un anno in Italia non posso convertire il loro permesso di soggiorno perché questi mesi li hanno trascorso o spesi in un centro di prima accoglienza non adeguato. Questa è una veridicità.

Anche per gli adulti succede la stessa cosa. Stanno tanto tempo nei centri di prima accoglienza ed è un tempo morto in cui dormono e mangiano, non vanno a scuola e questa cosa fa si che quando poi escono dai centri di prima accoglienza e devono avviare un percorso di autonomia, non sono emancipati – io parlo sempre di emancipazione. Questa è una veridicità, devo dire, che nel sistema Italia, purtroppo riguarda anche i centri di seconda accoglienza. Non tutti i centri di seconda accoglienza, anche per adulti, sono adeguati. Quindi a volte capita che dopo essere stati in questo centro di seconda accoglienza, che io chiamo il parcheggio 2, cioè dopo essersi fatti il primo parcheggio, si fanno il secondo e quando escono da lì non sono in grado di essere autonomi, non sanno come trovarsi un lavoro, non sono in grado di affittarsi una casa, cioè non è che non sono in grado, non hanno gli strumenti, gli mancano le capacità…e poi molti arrivano qua. Conosco molta gente che non è riuscita oppure è stata un po’ sfortunata, magari ha perso il lavoro, non riesce ad affittarsi la casa.

E poi arrivano qua. Allo sportello arriva la persona appena sbarcata, arriva la persona che viene respinta, arriva la persona che deve andare in commissione e ci chiede un aiuto, un orientamento legale, arriva anche chi invece ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, la protezione sussidiaria, la protezione umanitaria e vuole ricongiungere un familiare o chiede assistenza legale per altri punti di vista. C’è gente che ha i documenti e vuole un orientamento ai servizi nel territorio come per esempio sapere come iscriversi a scuola, come si prende la tessera sanitaria, come si prende il libretto sanitario, cioè un po’ tutto questo passa da qua.

AA: Simona, grazie per questa panoramica. Un’ultima domanda: stando qui con te si incontrano molte persone che vengono dalla Germania, cioè dopo un lungo percorso adesso si trovano qui. Cosa sta succedendo? Che movimenti ci sono?

In seguito allo sbarco, ormai da due anni ca., le impronte vengono prese a tappeto a tutti. Difficilmente, come succedeva nel 2013 e nel 2014, quando tutta la gente che arrivava riusciva a evadere ai controlli e a non lasciare le impronte in Italia e quindi tutti quanti riuscivano a raggiungere il Nord Italia, in seguito poi ad una riunione con l’Unione Europea i controlli in frontiera sono diventati molto più severi. Da quando sono nati gli hotspot, nella primavera del 2015, cosa succede?

Succede che negli hotspot vengono fatti maggiori controlli, cioè coloro a cui vengono prese le impronte sono costretti a rimanere in Italia e fanno tutta la procedura qui. Una volta svolta la procedura, entrano all’interno dello SPRAR e spesso si allontanano, cioè nel momento in cui ricevono i documenti si allontanano perché di fatto il loro progetto migratorio è raggiungere l’Europa e quindi vanno in Germania. E quindi adesso cosa sta succedendo? Scade il permesso di soggiorno, il permesso di soggiorno in sussidiaria dura cinque anni e deve essere rinnovato, la protezione umanitaria invece dura due anni e la protezione internazionale dura cinque anni. Quando devono rinnovare il permesso non lo possono rinnovare in Germania perché nonostante la protezione sussidiaria internazionale sia un documento valido dentro l’area Schengen, loro comunque hanno il dovere di rinnovare il permesso nello stesso paese che l’ha rilasciato. Quindi tornano per rinnovare i documenti. Solo che spesso magari non hanno la residenza ed è per questo motivo che l’ARCI ha costituito il registro dei senza fissa dimora e arrivano qui tutte le lettere e cose del genere.

Cosa succede ancora? Il rapporto tra immigranti ed il Nord Europa è molto particolare e dipende molto dalle varie nazioni. Io posso dire per la mia piccola esperienza che molti dei ragazzi subsahariani, intendo gambiani, nigeriani, senegalesi, vengono qua e se riescono a trovare lavoro o delle opportunità di integrazione reali non se ne vanno. Altri invece aspettano solo di avere i documenti e poi vanno via, raggiungono la Germania perché sanno che in Germania dal punto di vista lavorativo hanno più opportunità, a parte che hanno dei sussidi, ma hanno anche la possibilità di iniziare a lavorare. Il nostro territorio purtroppo è saturo e quindi, a parte nel periodo estivo, non riescono a lavorare.

Quindi cosa c’è capitato? E non parlo solo come ARCI, che è a contatto con tanti ragazzi, ma anche come tutore di minori stranieri non accompagnati. I ragazzi nel momento in cui hanno i documenti decidono di andare in Germania a provare, ma, ripeto, salvo quelli che hanno opportunità lavorative qui, che trovano un tirocinio formativo o un lavoro. Non dico che tutti se ne vanno. Per esempio Lamin, un ragazzino gambiano, che studiava e che ha fatto la licenza media qui, ha provato a lavorare in estate, ma quando è finita la stagione non ha trovato più niente e ha deciso di partire.

Dopo ritornano qui perché devono rinnovare i documenti. Alcuni quando arrivano e noi gli chiediamo il loro progetto migratorio ci dicono immediatamente che il loro progetto migratorio è il Nord Europa e questo lo fanno spesso i ragazzi che vengono dalla Somalia, dall’Eritrea. Non conosco un Eritreo che non sia andato, non dico in Germania, ma in Svezia e Norvegia perché hanno lì una comunità molto forte, molto radicata. Gli altri ragazzi invece no, dipende dalla nazionalità, dai contatti, dipende dai legami familiari e amicali. Però c’è sempre questo sogno della Germania come luogo dove poter fare delle esperienze lavorative e visto che mantengo i contatti con i miei ex tutelati, mi raccontano spesso che la formazione professionale è più immediata in Germania. Una delle criticità del sistema italiano è proprio l’istruzione, organizzata in un percorso troppo lungo. Dicono che la cosa che apprezzano nel modello tedesco è il fatto che gli viene data la possibilità di fare un corso di formazione professionale immediato in modo da entrare subito nel mondo del lavoro.

AA: Grazie, Simona!

DEUTSCHE VERSION

Interview mit Simona Cascio, Präsidentin von ARCI Siracusa, der derzeit größten italienische non-profit-Organisation mit 4.796 Kulturzentren in ganz Italien. Sie setzen sich unter anderem solidarisch für Geflüchtete und Menschen in prekären Situationen ein. Agata aus unsere Team hat mit ihr über die aktuelle Lage vor Ort gesprochen.

Agata Aurora: Simona, welchen Aufgaben widmet sich ARCI Siracusa?

Simona Cascio: Seit einigen Jahren ist ARCI Siracusa, genauer seit 2008, eine Anlaufstelle für Asylbewerber und Geflüchtete. Wir öffnen unsere Türen zweimal die Woche, Montag und Mittwoch und widmen unsere Aufmerksamkeit vor allem besonders Schutzbedürftigen, unbegleiteten Minderjährigen und Opfern von Menschenhandel.

AA: Du bist in vielen Bereichen aktiv. In Aufnahmezentren und als Vormund von unbegleiteten Minderjährigen bekommst du so einiges mit und kennst die Situation in den Hotspots und den verschiedenen Aufnahmezentren. Wie ist die Lage zur Zeit und was hat sich in den letzten Monaten verändert?

SC: Auf Italiens Mittelmeerinseln gibt es zwei vom Ministerium eingerichtete Hotspots und zwar in Pozzallo und in Lampedusa. In Syrakus hingegen haben wir die sogenannten CPSA, Centri di Primo Soccorso e di Accoglienza, das heißt Erstaufnahmezentren, die von der Präfektur bestimmt wurden. Dorthin werden die Geflüchteten zunächst gebracht, sind aber nicht mit einem Hotspot zu verwechseln.

AA: Was ist der Unterschied zwischen diesen beiden Einrichtungen?

Im Falle der Hotspots können die Menschen diese nicht verlassen, bis ihre Identität festgestellt und sie registriert wurden. Manchmal passiert dies auch unter Gewaltanwendung. In Pozzallo zum Beispiel müssen alle ihre Fingerabdrücke abgeben. Falls sich jemand weigert, darf diese Person den Hotspot nicht verlassen. Zum Glück haben wir hier in Syrakus keine Hotspots. Ich bin diesen Einrichtungen gegenüber sehr kritisch.

Bis zu Beginn des Sommers 2016 gab es Erstaufnahmeeinrichtungen für Männer, Frauen und Familien. Die Situation hat sich dann im August 2016 vollkommen verändert. Da die Anzahl an unbegleiteten Minderjährigen immer rascher stieg, wurden die Erstaufnahmeeinrichtungen für Erwachsene in Einrichtungen für Minderjährige umgewandelt. Ich zähle sie kurz auf: “Don Bosco” befindet sich zwischen Canicattini Bagni und Palazzolo Acreide und beherbergt zur Zeit 200 männliche unbegleitete Minderjährige – das sind sehr viele für die Größe dieser Einrichtung. Dann gibt es noch “La Zagara” und dort sind 180 männliche und weibliche Minderjährige untergebracht sowie schwangere Frauen und Familien. “La Zagara” befindet sich in Città Giardino, in einer Ortschaft kurz vor Syrakus. Außerdem gibt es noch zwei weitere Einrichtungen, “Casa Freedom” in Priolo mit 80 Plätzen und in Pantanello mit 50 Plätzen.

Die Schwierigkeiten liegen in der Tatsache, dass dem Gesetz zufolge unbegleitete Minderjährige nach ihrer Ankunft in Wohngemeinschaften, Familien und kleinen Einrichtungen leben sollen, um den „Integrationsprozess“ schnell voranzubringen. Stattdessen bleiben sie in diesen Einrichtungen, die aus drei Gründen nicht angemessen sind: Erstens handelt es sich um viel zu große Strukturen mit über 200 Personen und wenn 200 Minderjährige auf engstem Raum miteinander leben müssen, befinden sie sich eigentlich in einer Art Legebatterie: So nenne ich das, einen Parkplatz für Menschen.

Ein zweiter negativer Aspekt ist, dass sie ihren Integrationsprozess nicht beginnen können, weil sie die Einrichtung nicht verlassen und nicht zur Schule gehen können. Die dritte Schwierigkeit ist, dass viele Minderjährige weglaufen, weil sie sich nicht genügend geschützt fühlen. Wenn ein Minderjähriger die Einrichtung verlässt ist er, im Gegensatz zu einem Erwachsenen, größeren Risiken ausgesetzt: Menschenhandel, Ausbeutung, Organhandel. Das ist natürlich das, was uns am meisten Sorgen bereitet. Gleichzeitig bemüht sich das Ministerium, das heißt die italienische Regierung, dieses Problem in den Griff zu bekommen. Zum Beispiel wurden die Zulassungen von SPRARs (Einrichtungen zur Zweitaufnahme für unbegleitete Minderjährige) letztes Jahr erhöht und nun stehen statt 1.000, 2.000 Plätze zur Verfügung, aber es sind immer noch zu wenige. Bis September 2016 sind 12.400 unbegleitete Minderjährige über das Mittelmeer gekommen, davon sind ca. 70% in der Hafenstadt Augusta an Land gegangen.

Es gibt heute nur wenige Aufnahmezentren für Erwachsene. Eins davon istFrasca” in Rosolini. Genaue Zahlen zu den Menschen, die dort untergebracht sind, haben wir leider nicht, denn wir haben dort keinen Zugang. Aber wir treten durch unsere Anlaufstelle hier in Syrakus und durch Aktivitäten, die wir organisieren, mit sehr vielen Geflüchteten in Kontakt und erfahren von ihrer Situation. Es gibt noch zwei weitere Einrichtungen, eine heißt “Il Carrubbo” in der Ortschaft Testa dell’Acqua, der Name der zweiten will mir gerade nicht einfallen. Dabei  handelt es sich um Einrichtungen, in denen Erwachsene für einen kurzen Zeitraum leben und dann woanders hingebracht werden, das heißt, sobald sie internationalen oder subsidiären Schutz bzw. Asyl beantragen, werden sie erneut verlegt. Diese Situation ist aus unserer Sicht gar nicht gutzuheißen und erschwert für Geflüchtete und auch die italienische Bevölkerung die Annäherung, das Zusammenleben..

AA: Was geschieht mit den Menschen, sobald sie die Aufnahmeeinrichtungen verlassen? Vor welchen Problemen stehen sie?

SC: Das hängt vom konkreten Fall ab. Wenn die Person aus einer Zeitaufnahmeeinrichtung kommt und wenn sie in einem SPRAR den Integrationsprozess durchlaufen hat – wo sie theoretisch begleitend unterstützt wird, Weiterbildungsangebote wahrnehmen kann – läuft es für viele gar nicht schlecht. Einige schaffen es, eine Wohnung zu mieten, eine Arbeit zu finden – kurz, sich zu integrieren. Es sei denn, ihr Migrationsvorhaben beinhaltet, Süd-Italien zu verlassen, um Verwandte in Nordeuropa oder Norditalien zu erreichen. Wer hingegen aus einer Erstaufnahmeeinrichtung kommt, der steht vor einer schwierigeren Situation. Ich gebe hier mal ein Beispiel von einem unbegleiteten Minderjährigen: Sobald er volljährig wird, und wenn er nicht in einem SPRAR oder einer Wohngemeinschaft aufgenommen wurde (dies gilt übrigens auch für sogenannte Wirtschaftsflüchtlinge) wird es sehr schwer weiterhin eine Aufenthaltsgenehmigung zu bekommen.

Wir beobachten, dass es meist so läuft, dass er diese Verlängerung ihrer Aufenthaltsgenehmigung (auch wenn Studium oder Arbeit angestrebt werden) niemals bekommt, weil er in einer Erstaufnahmeeinrichtung gewesen ist und keinen „Integrationsprozess“ durchlaufen hat. Dies bedeutet, dass die Generaldirektion des Ministeriums die Anerkennung verweigert. Das Aufnahmeverfahren hat in diesen Fällen einen gravierenden Einfluss auf das weitere Leben dieses Menschen, denn obwohl er teils 8 Monate oder mehr in Italien verbracht hat, steht er dann häufig vor dem Nichts und der Ausweisung.

Nachdem sie in diesen unzulänglichen Zweitaufnahmeeinrichtungen gewesen sind – ich nenne die Parkplatz 2 -, verlassen sie diese Unterkünfte. Sie haben keine Integrationsmaßnahmen und kein Wissen über die Strukturen vermittelt bekommen, selbständig für sich zu sorgen, eine Arbeit zu finden oder eine Wohnung zu suchen. Dann kommen sie hierher zu uns. Ich kenne wirklich viele Menschen, die es nicht schaffen oder einfach kein Glück hatten, vielleicht ihre Arbeit verloren oder keinen Mietvertrag bekommen haben. Es kommen Menschen, die versuchen, sich hier zurecht zu finden und verstehen wollen, wie man sich in einer Schule anmeldet, wie man eine Versichertenkarte oder einen Notfall-Ausweis beantragt.

AA: Danke für diesen ausführlichen Überblick. Noch eine letzte Frage: Während ich hier mit dir sitze, kommen viele Geflüchtete aus Deutschland zu dir, die nach einer langen Reise jetzt wieder hier sind. Was passiert gerade? Welche Migrationsbewegungen sind im Gange?

SC: Seit zwei Jahren werden nach der Ankunft allen Geflüchteten die Fingerabdrücke abgenommen. Es kommt kaum mehr vor, so wie es noch 2013 und 2014 möglich war, dass es Geflüchteten gelingt, die Kontrollen zu unterlaufen, die Abnahme der Fingerabdrücke zu umgehen und nach Norditalien und weiter zu gelangen. Nach einem Beschluss der Europäischen Union wurden die Kontrollen an den Grenzen verschärft, das Verwaltungssystem verbessert. Wer in Italien ankommt, muss auch dort erstregistriert werden.

Was passiert also seit dem Frühjahr 2015, also seit der Einrichtung von Hotspots? Nach der Verschärfung der Kontrollen, werden allen die Fingerabdrücke abgenommen, wirklich allen, d.h. sie sind gezwungen, zunächst in Italien zu bleiben, sie müssen die ganze Prozedur hier durchlaufen. Sobald sie dann mit ihren Papieren in eine Zweitaufnahmeeinrichtung kommen, gehen sie oft weg und erreichen Nordeuropa, weil das ihr eigentliches Migrationsziel ist, und so kommen sie nach Deutschland.

Die Aufenthaltsgenehmigungen laufen ab, für subsidiäre und internationale Schutzberechtigte nach 5 Jahren, für Schutzberechtigte aus humanitären Gründen nach 2 Jahren. Die Aufenthaltsgenehmigung kann aber nicht in Deutschland verlängert werden, auch wenn der internationale subsidiäre Schutz im gesamten Schengenraum gültig ist. So müssen diese Menschen den Antrag auf Verlängerung in dem Land stellen, in dem sie angekommen sind. Deshalb kommen sie zurück. Oft haben sie hier aber keinen Wohnsitz. Deshalb hat ARCI ein zentrales Register für Obdachlose angelegt, damit hier die Briefe dieser Menschen ankommen können und sie so ihre Post mit den notwendigen Dokumenten erhalten.

Was können wir noch beobachten? Die Beziehung der Geflüchteten zu Nordeuropa ist sehr speziell und hängt vom Herkunftsland ab. Aus meiner Erfahrung heraus kann ich sagen, dass viele junge Menschen aus Gambia, Nigeria und Senegal hier bleiben und nicht weggehen möchten, wenn sie Arbeit finden und sich ihnen konkrete Integrationsmöglichkeiten bieten. Andere hingegen warten nur auf ihre Papiere und gehen fort. Oft zieht es sie nach Deutschland, weil sie wissen, dass die dort leichter Arbeit finden, finanzielle Unterstützung erhalten und sofort arbeiten können. Was den Arbeitsmarkt in unsere Region betrifft ist dieser leider vollkommen gesättigt und mit Ausnahme der Sommersaison finden diese Menschen hier kaum Arbeit.

Und sonst? Ich spreche hier nicht nur im Namen von ARCI, wo wir mit sehr vielen Menschen in Kontakt sind, sondern auch als gesetzliche Vertreterin und Vormund von unbegleiteten Minderjährigen. Die Jugendlichen entscheiden nur dann nach Deutschland zu gehen wenn sie hier keine Möglichkeit finden, keine Arbeit oder Ausbildungsplätze bekommen. Lamin, ein Junge aus Gambia, ein wirklich sympathischer, ist hier zur Schule gegangen und hat anfangs auch Arbeit gehabt. Nach der Sommersaison hat er aber nichts mehr gefunden und hat beschlossen, wegzugehen. Später kommen viele zurück, um ihre Aufenthaltsgenehmigungen zu verlängern. Wenn wir einige von ihnen gleich nach der Ankunft fragen, was ihr Migrationsziel ist, haben sie schon konkrete Vorstellungen, teilen uns ihr Vorhaben sofort mit und sagen, dass sie nach Nordeuropa wollen. Das kommt oft bei den Menschen vor, die aus Somalia und Eritrea kommen. Ich kenne keinen einzigen aus Eritrea, der nicht weggegangen ist, vielleicht nicht alle nach Deutschland, aber nach Schweden oder Norwegen. Dies hängt damit zusammen, dass dort sehr starke und verwurzelte Gemeinschaften bestehen.

Es gibt immer diesen Traum von Deutschland, wo es gute Aussichten auf Arbeit gibt. Ich halte den Kontakt zu meinen ehemaligen „Schutzbefohlenen“.

AA: Liebe Simona, vielen Dank!

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